giovedì 22 ottobre 2009

Ritorno

Ritorno al blog, dopo un lungo viaggio. Forse il viaggio, quello vero, ancorché metaforico, è appena iniziato. Altri e numerosi origami mi aspettano, ovviamente. E nelle dita è tanta la voglia di scrivere le loro storie. Ed è tanta anche la voglia di scrivere altre storie che con gli origami non c'entrano nulla.

A presto.

venerdì 11 settembre 2009

La gru

Forse l'avrò già anche detto, ma per me piegare un origami è come suonare uno strumento musicale, come scrivere un racconto. Mi occorre concentrazione, tempo, impegno.
Anche se devo piegare una semplice gru, uno dei modelli più semplici e noti.
E' uno di quei modelli che si impara da ragazzini, in quelle tipiche giornate in cui piove a dirotto. Ti ricordi, vero? Non hai finito i compiti, ti rimane sempre quell'ultimo esercizio, che non hai voglia di fare. Ti sei anche stufato di contare le gocce sulla finestra. Forza, prendi la matita e i pastelli, disegna una casetta con vicino un bell'alberello e quel sole che per adesso è completamente coperto dalle nuvole grasse e grigie. Poi arriva tua mamma: se finisci i compiti, ti insegno a fare una cosa. In fretta fai quel malefico esercizio e corri dalla mamma sventolando il quaderno.
Adesso mi insegni quella cosa, mamma?
E lei prende un foglio, lo riduce a un quadrato e lo piega, prima a rombo, poi ad aquilone, poi spuntano la testa e la coda. Un uccellino! E' una gru, dice tua mamma ridendo.
E adesso guarda: prende per la coda e il collo quel semplice uccellino e all'improvviso le ali sbattono furiosamente.
E' passato tanto tempo e non ti sai più come sia possibile che una gru di carta sbatta le ali. Questione di allenamento, come per tutte le cose. Non c'è problema.
La gru è sempre lì. Devi solo ricordarti come si fa.

lunedì 7 settembre 2009

Un'altra base

Di nuovo il foglio quadrato.
Di nuovo diviso in otto parti, come avevamo fatto l'altra volta.
Stavolta lo tengo aperto davanti a me, sul tavolo. Una volta che le pieghe sono impostate, salta su, si erge dalla suerficie del tavolo perché vuole essere ancora una base a triangolo, ma questa base nasconde un'altra faccia.
Premendo sul vertice della piramide, esattamente all'incrocio delle quattro pieghe, faccio "scattare" la carta, e la base si rivolta come un calzino. Ora vuole essere un rombo doppio, così:
Ecco ottenuta un'altra base fondamentale, la cosiddetta "base preliminare". O anche base della gru. C'è una scorciatoia: se si piegano prima le diagonali, la base preliminare salterà fuori da sola. Se si piegano prima le parallele ai lati, la base triangolare è già pronta.
Già già già. "Base della gru" perché è proprio da qui che si ricava la famosa gru (in giapponese orizuru), simbolo degli origami.
Io credevo che la leggenda dicesse che se ne pieghi mille, si avvera un desiderio. In realtà mi è stato spiegato che piegare mille gru è una forma di preghiera. Preghiera per un malato, per qualcuno in difficoltà, per un buon augurio. E al posto del bigliettino "guarisci presto", si piegano e si regalano mille gru.
Sarebbe un buon metodo per sconfiggere la mia monumentale pigrizia.
Prossimo post, appuntamento con la gru.

lunedì 31 agosto 2009

Farfalla

E' come un amore perduto.
Si avviluppa e si accartoccia senza un senso apparente, e poi prende la sua forma definitiva. E vola via.
Sì. Sì, sì, sì. Voglio che questo primo modello, proprio questa farfalla del maestro Akira Yoshizawa, sia l'antipasto di una pantagruelica scorpacciata di origami.
Si piega in 8 mosse. Un numero perfetto. E la chiave sta nel passaggio centrale: si piega tutto in due e si lascia una piccola punta oltre il bordo superiore. Poi compaiono le ali, ma la forma della farfalla cambia a seconda di quanto sporge dal bordo questa punta. E qui c'è la libertà: nessun riferimento, nessun punto da far combaciare. E' l'origamista che decide quale forma avrà la farfalla.
E' come una piccola, bellissima e semplice canzoncina, che però rimane in mente. Vola via ma resta per sempre, come un amore perduto. Ecco lo spartito.

venerdì 28 agosto 2009

La base

Voglio aggiungere un altro pezzo del puzzle di questa lunga introduzione: le basi. Un passo per volta, arriveremo anche ai modelli (personalmente non vedo l'ora), però prima ho bisogno di capire da dove arrivano le zampe, le ali, le braccia, le teste, i corpi e tutti quegli elementi che compongono le figure.
Arrivano dalle basi.
Se dovessimo paragonare l'arte dell'origami alla pittura, le pieghe sarebbero i tratti in matita e le basi gli schizzi preparatori, quei pupazzi privi di faccia, con gli arti e il corpo formati dagli ovali per capire la postura.
Comincio dalla base più semplice, la base triangolare (oppure "waterbomb", e non chiedetemi da dove arriva la definizione "bomba d'acqua").
Si prende il nostro foglio quadrato e si fanno quattro pieghe: due a monte, in modo da dividere il quadrato in quattro, e due a valle, lungo le diagonali. Così:















Il risultato è una specie di piramidina con quattro punte:











Da questa base, nel prossimo post ricaveremo la farfalla di Akira Yoshizawa.

lunedì 24 agosto 2009

Soffietto e cappuccio

Già dal precedente post, tutto ha preso un sapore come di corso on-line di origami. In realtà non era proprio quello che avevo in mente, ma penso che almeno i primi post saranno su questo tono.

E infatti, anche oggi ho intenzione di analizzare altri tipi di pieghe, prima di buttarmi sui modelli, perché non mi basta piegare la carta. Scrivere e analizzare anche i singoli tipi di piega servirà anche a me per avere una maggiore coscienza di quello che faccio.

Code, becchi, zampe e musi. La maggior parte degli animali è provvista di questi accessori. Il modo più semplice affinché anche i nostri modelli presentino le medesime caratteristiche, è impiegare due tipi di pieghe molto comuni e facili da realizzare: la cosiddetta "piega a soffietto", detta anche "pocket fold", e la "piega a cappuccio", chiamata anche "hood fold". In fin dei conti, però, chiamate le pieghe un po' come volete, l'importante è intendersi.

La piega a soffietto si ottiene spingendo la punta all'interno dei lembi, mentre, viceversa, la piega a cappuccio si realizza al contrario, in modo che il "becco" ottenuto rimanga all'esterno, così:







Piega a soffietto







Piega a cappuccio

Finalmente cominciamo a entrare nel vivo delle pieghe.
Compito a casa: proviamo la sequenza: due pieghe a valle che facciano coincidere i bordi con la diagonale, piega a valle lungo la stessa diagonale (otteniamo così la punta), prima la piega a soffietto (più facile) e poi la piega a cappuccio.
Chiedo venia per i poveri disegni.

sabato 22 agosto 2009

Prime pieghe

Dicevamo.
Direi che è necessario inizare dalle basi, mi perdoneranno gli espertissimi, i mediamente esperti, gli amatori, i dilettanti e giù giù classificando per gradi di perizia.
Questo post (e i prossimi) è per chi non ha mai piegato un foglio di carta in vita sua.

Per prima cosa bisogna dire che e
sistono millanta diversi tipi di pieghe, ma i due fondamentali sono le cosiddette "piega a valle" e "piega a monte". In realtà si tratta della stessa piega, semplicemente cambia solo il verso nel quale viene eseguita.
Nella piega a valle il lembo deve piegarsi in direzione dell'origamista; viceversa, nella piega a monte il lembo scompare alla vista, dietro al resto della carta. Nei diagrammi, la piega a valle è rappresentata da una linea retta tratteggiata, mentre la piega a monte è segnata con una linea di puntini e trattini alternati. Più o meno così:



Piega a valle






Risultato






Piega a monte





Risultato






Banale, no?

(Maledetta piattaforma, caricare le immagini è stato un calvario)

Ora smettete di leggere qui, prendete un fogliaccio qualsiasi e fatelo. Anche se potrebbe sembrare inutilmente enfatico per un gesto così "normale", assaporate il momento in cui passate il dito sul dorso della piega per definirla meglio, sentite il contatto con la carta, considerate con emozione il concetto della vita (le vostre mani, il vostro polpastrello, carne, pelle sangue e ossa) che plasma la non vita (la carta, le sue fibre e il suo telaio intrecciato). Sappiate che la carta (salvo particolari tipi di carta) ha questa proprietà mistica: una volta impressa la piega, essa è un segno che rimarrà in eterno. Potrete tentare di correggere il verso della piega quanto vorrete, potrete appiattire il foglio per cercare di far sparire la piega, potrete anche tenere la carta sotto tonnellate e tonnellate di pressa, ma non ci sarà modo di far sparire quella piega che in un gesto di due secondi avete realizzato.

Compito a casa: pensateci.

mercoledì 19 agosto 2009

Origamistrani

Ottimo. Blog aperto, dita scrocchiate, musichetta nelle cuffie per aiutare l'ispirazione. C'è quasi tutto.
Manca solo un buon inizio.

Si comincia sempre da un foglio di carta.
E lo si fa vivere.
Anziché scriverci sopra, lo si piega.
Se lo fai nel modo giusto, senza quasi accorgersene, ti ritrovi una piccola scultura tra le dita.

Mi spiace, non ho intenzione di pubblicare nessuna lunga premessa in generale sull'origami: niente pappardelle e pistolotti sulla storia dell'origami, sul fatto che la parola in giapponese significa "piegare (ori) la carta (kami)", che risale al secolo pincopallesimo, eccetera. Tutta roba che si può trovare spiegata bene o male in qualsivoglia sito o libro dedicato all'argomento.
Qui voglio dire quello che so io, come piegare questo o quel modello, come leggere un diagramma, ma soprattutto voglio scrivere qui come sto vivendo questa malattia ossessiva, cosa significa per me, cosa voglio dire quando piego un leone anziché una pecora, qual è il pensiero e il cuore che stanno dietro a quel pezzo di carta semistropicciato.

Spero che basti, come inizio.